Origini
Prima ancora di diventare Master di Yoga, ero già attrice e didatta nel settore teatrale. Il teatro e il palcoscenico sono il mio ambiente naturale. Quando iniziai l’Accademia di Arte Drammatica, avevo le corde vocali così danneggiate che non potevo di seguire il lavoro che mi veniva proposto. Consultai una foniatra, specializzata in voce artistica, e lì iniziò un Calvario. Più procedevo di specialista in specialista, meno ottenevo, se non in frustrazione e in esborso di denaro. A un certo punto, visto che Balavidya mi aveva risolto molti problemi di gestione del mio corpo, anche in palcoscenico, provai a applicare gli stessi principi all’uso della voce.
Presupposti del Metodo Vocale Balavidya
Grazie a Balavidya capii che tutti i metodi di origine medica e teatrale avevano fallito con me, perché non ne condividevo i presupposti. Li cambiai, e la voce guarì.
Il suono non è qualcosa che si deve produrre: è un entità che esiste già, e che bisogna solo saper intercettare, farsi attraversare da questo, diventare la sua cassa di risonanza. ll lavoro non consiste nel fare qualcosa, ma, al contrario, nel mantenere il corpo in totale decontrazione, mentre si emette un suono, ovvero deve “farsi cassa armonica”.
Il Corpo come Cassa Armonica
La cassa armonica di un violino, quando vibra, emette un suono che “viaggia” lontano, incisivo, bello. Se la stessa cassa armonica viene avvolta con dello scotch, questa continua sì a vibrare, ma molto meno, producendo un suono poco gradevole.
Le contrazioni, non solo alle corde vocali, ma anche quelle del resto del corpo, sono come dello scotch avvolto, dei lacci emostatici che ci impediscono di vibrare, e al suono di propagarsi.
Se già abbiamo un corpo contratto in condizioni normali, tutto peggiora nel momento in cui emettiamo un suono, perché dobbiamo compiere un’ulteriore attività, che genera contrazione che va a aggiungersi alle contrazioni abituali.
Eliminando queste contrazioni, con un meticoloso lavoro di ascolto, sono riuscita a far cantare con voce sostenuta anche persone che credevano di “non avere voce”, o di essere “stonate”.